Premesso che l’applicazione dei minimi tariffari “fissi” sono da rimuovere definitivamente, non garantendo la committenza e l’interesse pubblico, in quanto svincolati dalla qualità della prestazione. A seguito della soppressione dei minimi con la legge “Bersani”8248/2006), occorre ribadire quanto già considerato al riguardo anche nel testo edito da Legislazione Tecnica (2007).
L’individuazione del livello dell’onorario “minimo” di una prestazionenon ha a che vederecon il valore della prestazione stessa. Il primo può essere determinato anche in via preventiva e deve fare riferimento ai costi reali occorrenti per l’elaborazione del prodotto in tutte le sue fasi e per le componenti sia strumentali che professionali.
Il secondo è soggetto alla valutazione discrezionale dei professionisti e deve essere “validato” dalla committenza. Per garantire una valutazione comunque congruente, evitando eccessi spesso frutto di “accordi a latere” come emerso con frequenza, è congruente il riferimento alla tariffa, intesa “aperta” ad un predeterminato “intervallo” minimo e massimo per le singole prestazioni parziali, già previste ed eventualmente aggiornate. (es.: direz. Lavori. Vale 0,0 se non eseguita, da 0,10 a 0,50 secondo le difficoltà ritenute).
A garanzia reciproca delle parti, le valutazioni sia del minimo, sia dell’importo congruente con la prestazione, occorre che siano licenziate da organismi di validazione e conciliazione in rappresentanza sia dei liberi professionisti che della committenza pubblica e/o privata. Tale istituto è del resto ben presente nei contratti di lavoro di numerose categorie, con l’assiduo coinvolgimento delle parti sindacali.
Appare del tutto inopportuna l’individuazione di limiti di onorario per i dipendenti pubblici, che, da parte delle associazioni di categoria dei liberi professionisti, equivarrebbe ad una accettazione del lavoro professionale dipendente con le conseguenze più volte denunciate. In tal senso non può essere condivisa la posizione degli Ordini professionali.
10/05/2017