Gancio della gru malfunzionante e infortunio mortale: ruolo di un coordinatore per l'esecuzione. Responsabilità per il controllo quotidiano del corretto funzionamento. Non sussiste.
Cassazione Penale, Sez. 4, 16 luglio 2015, n. 31015 (Massima dell'avv. Rolando Dubini)
Massima
Il d.lgs. 494/1996 ha introdotto la figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori al fine di assicurare, nel corso della effettuazione dei lavori stessi, un collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di consentire al meglio l'organizzazione della sicurezza in cantiere, con la precisazione che la normativa di settore è stata trasposta in termini coincidenti nel Testo unico per la sicurezza del lavoro di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. La disciplina è stata parzialmente innovata dal D.Lgs. 3 agosto 2009 n. 106 che, tuttavia, ha mantenuto l'impostazione del sistema prevenzionistico nella materia in questione, pur manifestando la tendenza a limitare e separare le sfere di responsabilità dei diversi soggetti. Con una recente pronunzia (Sez. 4 Ordinanza n. 18149 del 21.04.2010 Rv. 247536) è stata ben delineata la figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori e si è evidenziato che, atteso l'indicato ruolo di collaboratore del committente cha caratterizza tale figura, la lettura della specifica sfera di gestione del rischio demandatagli discende per un verso dalla funzione di generale, alta vigilanza che la legge demanda al committente. Sia la normativa di cui d.lgs. 494/1996 che quella ripresa dal T.U. confermano che la funzione di vigilanza è "alta" e non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alla figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il preposto. Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazioni dei loro doveri "tipici", e di quelle afferenti all'inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate. Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione dei lavori. Appare dunque chiara la rimarcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto).
Alla luce di tali principi, appare corretta la motivazione di una sentenza relativa ad un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto, e ,quindi, evento non riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione: in tale ambito al coordinatore è affidato il formalizzato, generale dovere di alta vigilanza di cui si è ripetutamente detto: dovere che non implica, normalmente, la continua presenza nel cantiere con ruolo di controllo sulle contingenti lavorazioni in atto.
Nella fattispecie il GUP ha chiaramente espresso il criterio con il riferimento a dati oggettivi, su cui non v'è contestazione: 1) l'imputato aveva assunto il ruolo di coordinatore per l'esecuzione dei lavori; 2) il Piano di sicurezza e coordinamento prevedeva che i ganci utilizzati dovessero essere dotati di dispositivo di sicurezza funzionante; 3) nel caso di specie il gancio della gru era dotato del dispositivo di sicurezza, e che esso, dopo il verificarsi dell'infortunio, si è accertato essere mal funzionante.
Sulla base di tali dati il GUP ha ritenuto che non sussisteva alcun obbligo in capo all'imputato di verificare, momento per momento, la funzionalità del detto dispositivo.
Dunque, la responsabilità per colpa contestata all'imputato è stata esclusa per carenza in capo al medesimo della posizione di garanzia in ragione dell'incarico da lui ricoperto.
Posta, in tal modo la questione, essenzialmente in punto di diritto, lo svolgimento del dibattimento non avrebbe portato ad una soluzione diversa.
All'imputato, quale coordinatore per l'esecuzione dei lavori, è stato contestato di avere omesso di verificare l'applicazione, da parte della ditta esecutrice dei lavori, delle disposizioni pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento in violazione dei doveri su di lui incombenti, come fissati dall'art. 92, lett. a), del d.l.vo n. 81/08; nel caso di specie, aveva omesso di controllare l'efficienza del gancio della gru, con la conseguenza che l'operaio, impegnato nei lavori del cantiere edile, veniva colpito a morte dallo sganciamento tra due catene di numerosi cavalletti che costituivano il carico della gru, da lui manovrata in quanto il relativo gancio risultava difettoso e/o mal funzionate al suo imbocco.
Il GUP si è determinato ad emettere la sentenza di non luogo a procedere con la formula "per non aver commesso il fatto" evidenziando che la norma violata (colpa specifica) definisce la posizione di garanzia e protezione assunta dal coordinatore dell'esecuzione dei lavori, il quale, durante l'esecuzione dell'opera, deve verificare "con opportune azioni di coordinamento e controllo l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro"
Nella fattispecie in esame, argomenta il GUP, il piano di sicurezza prevedeva genericamente un imbocco di chiusura per il gancio del tipo di quello qui in questione che infatti vi era; solamente che era rotto, non era ben funzionante e questo ha provocato lo sganciamento dei cavalletti e quindi, l'infortunio. Ma l'obbligo di verificare il buon funzionamento di tale dispositivo non rientra nei doveri di prudenza e di controllo del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ma di chi materialmente procede nei lavori e non nel coordinamento di sicurezza. Questi non è un superdirettore operativo dei lavori e non è un addetto ai guasti; infatti, non ha l'obbligo di presenza continua e giornaliera sul cantiere, essendo, invece, deputato alla verifica della predisposizione dell'effettivo uso, da parte di chi procede nei lavori, di tutti gli accorgimenti che il piano di sicurezza prevede, valutando, anche "in relazione alla evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere", nonché verificando "che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza".
Nel caso di specie, il gancio, rileva il GUP, come emerge anche dalla documentazione fotografica in atti, era un dispositivo standard adeguato al lavoro da svolgere, compatibile con quanto previsto dal piano di sicurezza, perché provvisto del dispositivo di chiusura che, tuttavia, non era ben funzionante. Era dovere di chi procedeva materialmente nel lavoro, e dei loro responsabili, nonché eventualmente di chi per legge era tenuto alla vigilanza sulla sicurezza verificare costantemente che l'attrezzatura fornita fosse in concreto idonea, cioè ben funzionante non difettosa, momento per memento, nell'esecuzione dei lavori, e. se tanto non è avvenuto, costoro ne dovranno rispondere penalmente.
Fatto:
1. La Corte di Appello di Milano con sentenza in data 23.11.2015 confermava in punto a responsabilità penale la decisione del Tribunale di Milano che aveva riconosciuto F.A., F.N., B.N. e P.D.A. colpevoli del reato di cooperazione colposa nell’omicidio di A.N. dipendente della ditta ........................il quale, mentre si trovava all’interno della fossa di manutenzione, intento a eseguire interventi connessi alla installazione di un ascensore, rimaneva incastrato tra la traversa inferiore del vano cabina e la scala a pioli ove si trovava ad operare, in quanto l’ascensore era stato inavvertitamente azionato da altro dipendente che stava lavorando a monte. L’operaio era deceduto per asfissia in quanto nessuno degli altri operai, pure presenti, era in possesso o era riuscito a reperire prontamente, le chiavi di accesso al vano posto all’Interno del condominio ove si trovavano i comandi elettrici della cabina.
2. I giudici di merito, in accoglimento della prospettazione accusatoria, avevano ravvisato profili di colpa concorrente in capo a P.D.A., datore di lavoro della persona offesa, sia per carenze originarie e funzionali del POS il quale non contemplava misure prevenzionali idonee a scongiurare l’infortunio occorso, sia in ragione di una carente formazione/informazione dei dipendenti sui rischi connessi a tale ambito di lavorazione, in quanto gli stessi erano incorsi in una serie di palesi omissioni connesse alla mancata attivazione dei sistemi che avrebbero precluso l’azionamento automatico della cabina (meccanismo di stop, apertura delle porte).
2.1 Erano ritenuti responsabili dell’evento anche F.N., quale legale rappresentante della ditta F.N. s.r.l. affidataria delle opere, principale appaltatore operante nel cantiere, nonché B.L., legale rappresentante della ditta M. s.r.l., quale soggetto sub affidatario, il quale aveva a sua volta commesso alla ditta Vertical Service s.r.l. la installazione dell’ascensore, per avere omesso di verificare le misure generali di tutela di sicurezza su lavoro e per avere omesso di cooperare al coordinamento tra i vari datori di lavoro, assumendo in particolare efficienza causale la condotta omissiva contestata in relazione alla gestione del cantiere e alle modalità di accesso al vano da cui potere azionare i comandi dell’ascensore.
2.2 Era ritenuto altresì responsabile il coordinatore in fase di esecuzione F.A., in ragione della omessa verifica della idoneità del POS con particolare riferimento alle operazioni di movimentazione della cabina dell’impianto ascensore durante la fase di montaggio.
3. In relazione all’azione civile avanzata dai prossimi congiunti della persona offesa (moglie, madre e tre figli del A.N.) anche nei confronti dei responsabili civili Fratelli F.N. s.r.l., M. s.r.l. e Vertical Service Milano s.r.l. i giudici di merito, riconosciuta la responsabilità solidale anche di questi, ritenevano di dovere ripartire le responsabilità civili dell’infortunio prò quota, riconoscendo la responsabilità della P.D.A. nella misura del 40 %, di B.N. e di M. s.r.l. nella misura del 25 % ciascuna e di F.A. nella misura del 10 %, condannando pertanto ciascuno degli imputati e dei responsabili civili, ad eccezione di M. s.r.l., al risarcimento del danno, la cui liquidazione era rimessa al giudice civile, in misura proporzionale alle suddette percentuali. Venivano assegnate alle parti civili, che ne avevano fatto richiesta, somme provvisionali da imputarsi alla liquidazione definitiva, che il giudice di appello provvedeva a ridurre, in quanto gli importi riconosciuti dal primo giudice erano risultati superiori agli importi medi risultanti dalla applicazione delle tabelle risarcitorie predisposte e in uso presso il Tribunale di Milano. Veniva dichiarata la nullità della statuizione civile pronunciata in primo grado nei confronti di M. s.r.l. in quanto era risultato un difetto di citazione in giudizio in primo grado del suddetto responsabile civile.
4. Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione la difesa di tutti gli imputati, la difesa delle parti civili, limitatamente alla statuizione relativa alla regolamentazione delle spese processuali, e dal responsabile civile F.N. s.r.l..
4.1 La difesa delle parti civili si doleva di una statuizione di compensazione delle spese di lite in violazione di legge, in relazione all’art.541 cod.proc.pen. con riferimento agli art.185 cod.pen. 91 e 92 cod.proc.civ. laddove le istanze risarcitorie della parte civile erano state integralmente accolte e non sussistevano ragioni, neppure di soccombenza parziale o reciproca, per procedere ad una compensazione delle spese di lite.
5. F.R., coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione e la difesa di questi proponevano quattro motivi di ricorso.
5.1 Con un primo motivo denunciava violazione di legge nella parte in cui il giudice di appello aveva tratto profili di colpa in capo al ricorrente per un carente esame del contenuto del POS della ditta datrice di lavoro, laddove tale obbligo, pure previsto dall’art.92 DL.go 81/2008 era da intendersi in collegamento con il piano di sicurezza e coordinamento al fine di assicurarne la coerenza, laddove l’infortunio si era realizzato al di fuori di ambiti di interferenzialità di lavorazioni, mentre non doveva fare carico al coordinatore di accertare la intrinseca completezza dello stesso e la idoneità rispetto alle lavorazioni programmate, trattandosi di obblighi facenti carico alla parte datoriale;
5.2 con un secondo motivo di ricorso deduceva violazione a falsa applicazione dell’art.521 cod.proc.pen. in relazione all’art.516 cod.proc.pen. laddove, pur in mancanza di specifica contestazione da parte del PM, il giudice di primo grado aveva introdotto il tema del tutto nuovo della responsabilità del coordinatore per la esecuzione in relazione a profili di carenza organizzativa del cantiere, che comportava un addebito di deficit di coordinamento tra imprese simultaneamente impegnate.
In particolare assumeva che era stato introdotto non già un diverso profilo di colpa specifica in capo al F.A., bensì un diverso fatto, assolutamente inesplorato nel corso del dibattimento, rispetto al quale rilevava la presenza in cantiere di due lavoratori autonomi e la esecuzione di interventi volti a chiudere un varco utilizzato per accedere al quadro dei comandi elettrici dell’ascensore. Tali fatti introducevano la responsabilità del F.A. per il malgoverno di un profilo di rischio, in questo caso di rilievo interferenziale, che non era contenuto in imputazione, seppure nella lata accezione di “omessa verifica delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza”;
5.3 con un terzo motivo deduceva vizio motivazionale in punto alla sussistenza di interferenzialità in relazione alla possibilità di accesso al locale tecnico ove si trovavano i comandi dell’ascensore, laddove nessun deficit di coordinamento si era realizzato sul punto, in quanto le chiavi erano legittimamente detenute dagli operai della ditta di ascensori che stavano provvedendo alla installazione del mezzo, che il vano che custodiva le chiavi doveva essere chiuso per specifica disposizione normativa, né poteva vigere l’onere di consegnarne copia al personale di guardiania, atteso che ci si trovava nella fase del montaggio e non già in quella dell’ordinario esercizio del servizio. Nessuna gestione del rischio interferenziale si poneva in capo al coordinatore in quanto non sussisteva sovrapposizione o incrocio di lavorazioni e la circostanza che il vano che consentiva l’accesso al quadro elettrico fosse stato chiuso di recente non costituiva elemento che imponeva al coordinatore un intervento in chiave prevenzionistica, sia pure di coordinamento, laddove in cantiere era presente l’unica ditta impegnata nell’attività di installazione che deteneva le chiavi del pannello elettrico;
5.4 con un quarto motivo di ricorso la difesa del F.A. denunciava difetto motivazionale in punto a/ a)’ mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno, intervenuto in sede dibattimentale per fatto non ascrivibile al ricorrente; b) omessa applicazione della ipotesi attenuata di cui all’art.114 cod.pen. anche in considerazione del minimo apporto concorsuale attribuito sotto il profilo civilistico (10 %); c) omesso riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e quantificazione della pena nei minimi edittali; d) omesso riconoscimento della richiesta di pena patteggiata con il riconoscimento della attenuante del risarcimento del danno; e) percentuale di concorso di colpa attribuita al ricorrente.
6. La difesa di F.N. articolava tre motivi di ricorso.
Con un primo motivo deduceva violazione di legge in punto ad applicazione della direttiva cantieri di cui al titolo IV del D.L.vo 81/2008, in relazione alla individuazione del colpevole della condotta ascritta, sul presupposto del difetto di coordinamento delle attività di impresa all’interno dal cantiere, laddove solo la società Vertical era assegnataria del compito di installazione dell’ascensore, mentre altri artigiani erano impegnati nella esecuzione di opere all’interno del condominio, assolutamente avulse dal contesto della specifica lavorazione in discussione, così da escludere la vigenza di una qualsivoglia esigenza di una attività di coordinamento;
6.2 Con un distinto motivo di ricorso era dedotta violazione di legge e difetto motivazionale in punto a delega prepositurale in relazione a responsabilità colposa, laddove nel caso in specie il F.N. aveva proceduto ad una delega di funzioni di vigilanza al G. nei limiti stabiliti dall’art.16 D.L.vo 81/2008.
6.3 Con un terzo motivo di ricorso deduceva carenza di motivazione in relazione alla riconosciuta relazione causale tra il contestato difetto di coordinamento dell’appaltatore e l’evento, valutazione che poggiava sul falso presupposto che, al momento dell’infortunio, tutte le imprese fossero ancora operative in cantiere e che fosse necessario un loro coordinamento per individuare le modalità di accesso al locale ove si trovavano i comandi dell’ascensore.
7. La difesa di B.N. Lino articolava cinque motivi di ricorso allegando atti del processo a sostegno soprattutto del vizio procedurale denunciato.
7.1 Assumeva invero con un primo motivo che non era stato rispettato il termine minimo a comparire di venti giorni e che, una volta rilevato il difetto il giudice di primo grado, piuttosto che disporre la rinnovazione della citazione, fissava nuova udienza nel rispetto dei termini. Alla successiva udienza, a fronte della eccezione della difesa del B.N., ne dichiarava la contumacia assumendo la adeguatezza del rinvio disposto; denunciava violazione di legge processuale in presenza di nullità assoluta di ordine generale e comunque, pure a volerla ritenere di rilievo intermedio, la stessa era stata tempestivamente eccepita.
7.2 Con un secondo motivo deduceva nullità della sentenza per violazione della disciplina del rapporto di causalità e della imputazione della colpa relativamente agli obblighi facenti carico al B.N. quale responsabile della ditta affidante i lavori alla Vertical Service, la quale si trovava in una posizione intermedia tra l’appaltatore committente le opere (F.N.), e la ditta affidataria delle opere (Vertical), ed era priva di obblighi di coordinamento delle attività delle diverse imprese esecutrici, essendosi limitata a subappaltare le opere e a fornire il nuovo ascensore da montare, senza essere impegnata in alcuna attività presso il cantiere con le proprie maestranze, né assumendo obblighi di coordinamento rispetto ai dipendenti di ulteriori imprese ivi impegnate, laddove la Vertical aveva operato in piena autonomia organizzativa.
7.3 Mediante una terza articolazione il B.N. deduceva violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell’art.16 D.L.vo 81/2008 sulla delega di funzioni a fronte di una ritenuta assoluta estraneità alla gestione operativa della ditta e della esistenza di un direttore tecnico con delega alle scelte esecutive con attribuzioni anche sulla individuazione delle ditte affidatane delle opere in sub appalto. In particolare evidenziava che nelle aziende organizzate sulla base di un articolato e complesso reticolato di attribuzioni, la posizione di garanzia doveva essere individuata sulla base dell’effettiva gestione del rischio piuttosto che sulla formale attribuzione di incarichi e pertanto a prescindere da una formale delega.
7.4 Con un quarto motivo di ricorso deduceva ipotesi di travisamento della prova rispetto a quanto emerso in istruttoria dibattimentale, con riferimento al fatto che la ditta M. avesse conservato per sé parte dei lavori, laddove la stessa aveva interamente subappaltato le opere e non era presente in cantiere con le proprie maestranze; né una ingerenza nei compiti della ditta esecutrice poteva essere desunta dalle dichiarazioni del MA., responsabile della ditta M. sul cantiere, il quale aveva rammentato le relazioni intercorrenti tra l’appaltatore F.N. e la esecutrice Vertical e la delimitazione delle rispettive aree di competenza in materia di sicurezza che, in relazione alla impresa M. si risolvevano nel predisporre un luogo di lavoro sicuro per la successiva lavorazione dell’installatore dell’ascensore, senza peraltro interferire in tale ultima attività.
7.5 Con un ultimo motivo deduceva nullità della sentenza per illogicità della motivazione e travisamento del fatto in punto a relazione causale tra condotte ascritte ed evento mortale, a fronte delle stesse gravissime negligenze riscontrate a carico dei due operai della Vertical, idonee a assorbire ogni ulteriore profilo causale e alla impossibilità per la ditta del B.N. di operare in sede prevenzionale, non essendo stata informata della chiusura dell’accesso al locale ove era custodito il pannello dei comandi dell’ascensore.
8. La difesa di P.D.A. quale datrice di lavoro della persona offesa proponeva due motivi di ricorso.
8.1 Con un primo motivo si doleva di violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione al rapporto di causalità, assumendo che sussisteva una causa sopravvenuta, consistente nel mancato accesso al vano di cui sopra, che avrebbe consentito di liberare il dipendente intrappolato e tale fatto era del tutto estraneo al proprio controllo del cantiere e della gestione del rischio interferenziale.
8.2 Con un secondo motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale in punto a responsabilità colposa per difetto di formazione dei propri operai, alla stregua dei documenti acquisiti che pure avrebbero potuto essere sottoposti a perizia grafica e comunque alla stregua delle dichiarazioni del teste R. il quale aveva riconosciuto la partecipazione del A.N. a un corso di formazione che atteneva tra l’altro il lavoro in fossa ; né alla ricorrente poteva essere contestato un difetto di coordinamento in relazione agli interventi di sostituzione della porta di accesso al vano comandi, che era stata operata da altra impresa, senza nessuna comunicazione alla P.D.A..
Diritto:
1. I ricorsi degli imputati e del responsabile civile devono essere rigettati in quanto infondati. La sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dai ricorrenti imputati e dal responsabile civile, atteso che i giudici di merito, attraverso un articolato motivazionale del tutto integro sotto il profilo logico giuridico e coerente con gli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni della responsabilità degli imputati, nelle loro rispettive vesti di legali rappresentanti della ditta Vertical Service datrice di lavoro dell’operaio infortunato ed esecutrice delle opere di installazione dell’ascensore, della azienda F.lli F.N. s.r.l. appaltatrice dei lavori di ristrutturazione del complesso immobiliare e della società M. s.r.l. che si era assunta verso l’appaltatore l’onere della realizzazione di alcuni servizi, quale quello dell’ascensore, subappaltandone alla Vertical Service la installazione, nonché infine il F.A. nella sua veste di coordinatore nella fase di progettazione e di esecuzione delle opere.
2. Come premessa all’esame dei singoli motivi di doglianza non può che rimarcarsi la correttezza delle argomentazioni dei giudici di merito nel porre in rilievo e valorizzare la cooperazione colposa, quale elemento di saldatura delle singole posizioni di garanzia rivestite dagli imputati cui sono stati ricondotti specifici profili di responsabilità per colpa, e la sinergica rilevanza nella realizzazione di un evento unitario. Invero, in più di una articolazione è stata prospettata la assenza di rilievo causale alle condotte dei ricorrenti in ragione di fattori alternativi, coevi e successivi, riferibili a comportamenti umani, estranei alla sfera di prevedibilità di ciascun imputato, o a eventi del tutto casuali, tali da alterare e interferire sui profili causali delle singole condotte ascritte. Peraltro, si verte in ambito di infortunio realizzatosi sul luogo di lavoro ove il coinvolgimento integrato di più soggetti non solo era imposto dalla legge (art.26 e 90 ss D.Lgs. 2008/81), ma anche da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio e alla presenza in cantiere, ovvero nel legittimo affidamento da parte delle maestranze chiamate ad operare in cantiere, di una opera di cooperazione e di coordinamento della gestione del rischio interferenziale (cfr. S.U. 24.4.2014, Espenhahn, par. cooperazione colposa). Ne consegue una saldatura dei distinti profili di colpa riconosciuti a ciascun imputato, in quanto confluiti nel determinismo dell’evento, di talché non è consentito procedere, ai fini penali, ad una postuma verifica frazionata, parcellizzata e diacronica degli stessi, ma si impone una valutazione unitaria del complesso delle condotte asseritamente antidoverose, laddove la comune gestione del rischio giustifica la penale rilevanza di apporti che, sebbene atipici, incompleti o di semplice partecipazione, si coniugano tra di loro compenetrandosi laddove gli obblighi di cooperazione e di coordinamento rappresentano per i datori di lavoro di tutte le imprese “coinvolte “la cifra” della loro posizione di garanzia e delimitano l’ambito della rispettiva responsabilità (sez.IV, 7.6.2016, P.C. e altri in proc.Carfì e altri, Rv. 267687).
3. Sulla base di tale premessa emerge la inconsistenza del ricorso proposto da P.D.A., datrice di lavoro dell’operaio infortunato, laddove il giudice di appello ha posto in luce, con ampia motivazione, assolutamente incensurabile in questa sede, stante la coerenza logico giuridica che la caratterizza, le gravissime lacune che caratterizzavano il POS nella delicata fase di opere realizzate all’interno di fossa di manutenzione e alle rilevantissime carenze di formazione e informazione che avevano preceduto l’esecuzione dell’attività lavorativa, scandita da macroscopiche negligenze e da palesi errori in sede esecutiva da parte di entrambi i dipendenti.
3.1 Orbene se le appropriate e coerenti argomentazioni dei giudici di merito rendono del tutto inammissibile il secondo motivo di doglianza, che si limita a contestare gli specifici profili di colpa ascritti al datore di lavoro, nondimeno deve ritenersi infondato anche il primo motivo di ricorso, il quale fa leva su una asserita interruzione del rapporto di causalità tra la condotta, vuoi pure colposa della ricorrente e l’evento, in quanto del tutto estranea alla gestione del rischio relativo all’accesso al quadro comandi dell’ascensore.
3.2 Appare evidente infatti, alla stregua della premessa che precede, che la condotta colposa della ricorrente si inserisce in una poliedrica e articolata congerie di omissioni e di condotte antidoverose, tra cui assume precipuo rilievo un generale e consapevole difetto di informazione, cooperazione e di coordinamento tra le varie figure tutoriali all’interno del luogo di lavoro, come meglio verrà evidenziato esaminando i motivi di ricorso degli altri imputati, costituendo peraltro essa stessa un anello causale di diretta e decisiva rilevanza.
La P.D.A. invero, come ampiamente rappresentato dal giudice di appello, aveva impiegato manodopera priva di specifiche competenze, che operava in violazioni di basilari regole di prudenza, mantenendo in funzione l’ascensore pur in presenza di lavoratore che operava a valle della cabina e con l’operaio che operava a monte privo di mezzi per azionare o disattivare l’impianto, il che rappresenta in maniera plastica la totale assenza di progettualità preventiva sulla sicurezza di parte datoriale, esaltata infine da una assenza di complessiva cooperazione di cantiere sulla sicurezza degli operai impegnati nella messa in funzione dell’ascensore.
4. A questo punto esaminati i profili di doglianza della parte datoriale, ove sono emersi, sulla base della congrua valutazione operata dai giudici di merito, più evidenti e causalmente efficienti gli aspetti antidoverosi ad essa ascritti (POS e difetto di formazione), la principale questione di carattere tecnico giuridico sollevata da tutti gli altri imputati ricorrenti, che assume rilievo per la P.D.A. esclusivamente nei limiti della cooperazione colposa, è quella dell’esistenza e della riferibilità a ciascuno di essi della gestione di un rischio interferenziale.
4.1 Tutti gli altri ricorrenti hanno invero affermato che la Vertical Service Milano era ditta specializzata che stava procedendo, al momento dell’infortunio, ad uno specifico segmento delle opere appaltate dalla ditta F.N., in assoluta autonomia e con personale tecnico specialistico, al di fuori di rischio di interferenza con altre lavorazioni che, o non erano in atto, ovvero non avevano alcuna attinenza con quelle che vedevano impegnato l’operaio infortunato.
Tale argomentazione è stata prospettata primariamente dall’imputato F.A. il quale, come coordinatore per la progettazione e per la esecuzione, ha contestato di essere tenuto a gestire, nella specie, il rischio interferenziale, nonché dai titolari delle imprese F.N. e M. i quali, da un lato hanno escluso che proprie maestranze fossero impegnate sul cantiere di lavoro al momento dell’infortunio, e dall’altra hanno contestato che la specifica e specialistica lavorazione assegnata alla Vertical Service giustificasse il permanere a loro carico di un obbligo di garanzia, quantomeno in termini cooperativistici di cui agli artt. 95 e 97 in relazione agli art.15 e 26 D.Lgs. 81/2008.
5. Le suddette argomentazioni sono infondate. Il giudice di appello, in parte rinviando alla motivazione del giudice di primo grado, ha ampiamente evidenziato le ragioni della ricorrenza di una interferenza tra lavorazioni all’intemo del medesimo luogo di lavoro, rappresentando la circostanza che, non solo vi erano al momento del fatto alcuni lavoratori autonomi che stavano operando all’interno dell’edificio condominiale, ma spostando l’attenzione sulla seconda rilevantissima criticità riscontrata nel cantiere (ulteriore rispetto alle specifiche contestazioni mosse alla parte datoriale), evidenziando che il quadro dei comandi dell’ascensore era inaccessibile agli stessi lavoratori e ai soggetti intervenuti in loro soccorso.
5.1 Sotto questo profilo il giudice di appello ha stigmatizzato il rilievo di una inadeguata attività di coordinamento e vigilanza delle opere in fase esecutiva da parte del coordinatore per la esecuzione F.A. e una assoluta carenza di cooperazione nella gestione della sicurezza delle organizzazioni esecutrici e affidatarie in fase esecutiva, a fronte di profili cogenti di interferenza determinati dal fatto che nei giorni precedenti al sinistro il vano era accessibile, che lo stesso era stato modificato ad opera di maestranze diverse da quelle impiegate dalla Vertical Service nella installazione dell’ascensore e che la interferenza di tale lavorazione era risultata palese e drammaticamente influente nella morte dell’operaio, rimasto incastrato sotto la cabina e morto soffocato in quanto non era stato possibile riattivare la cabina.
Prevede invero l’art.90 III comma D.Lgs. 9 Aprile 2008 n.81 che nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all’affidamento dell’Incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione.
Il successivo comma prevede che nel caso previsto nel comma precedente, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’affidamento dei lavori, designa il coordinatore per la esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti di cui all’art.98 successivo. Nel caso in specie F.A..
5.3 Del tutto correttamente ha motivato il giudice di appello che poco rileva la circostanza che, in relazione allo specifico segmento di lavorazione nel corso del quale si realizzò il sinistro, solo la impresa in cui lavorava la persona infortunata si doveva occupare della esecuzione dell’intervento e che t pertanto j difettava la esigenza di gestire un rischio interferenziale, laddove, come è emerso nel corso della istruttoria dibattimentale, altri soggetti erano intervenuti nel cantiere, operando sia all’interno che all’esterno dell’edificio condominiale e apportando, nella consapevolezza dell’appaltatore delle opere, impresa F.N., modifiche dello stato dei luoghi di decisivo rilievo per le lavorazioni in cui erano impegnati gli installatori del servizio ascensore.
5.4 Invero se la posizione riconosciuta al coordinatore per la progettazione e la esecuzione è quella della alta vigilanza delle lavorazioni, sottesa a gestire il rischio interferenziale e non già a sovraintendere momento per momento alla corretta applicazione delle prescrizioni e delle metodiche risultanti dal POS,come integrate dal datore di lavoro e filtrate nel PCS (da ultimo sez.IV, 24.5.2016, Battisti, n.27165; 12.11.2015, Porterà e altri, Rv.265661), nondimeno la figura del coordinatore rileva nel caso in cui i lavori contemplino l’opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra di loro e non necessariamente in concomitanza (sez.IV, 12.3.2015, Marzano, Rv.253150), laddove i piani organizzativi e lavorativi siano comunque in grado di interferire (sez.IV, 7.6.2016, Carfì ed altri, Rv. 267687).
5.5 Non pare dubbio pertanto che, anche nella ipotesi che ci occuparla posizione del F.A. non può ritenersi estranea alla area di garanzia presidiata dalla figura del coordinatore, soprattutto in ragione del concreto atteggiarsi delle lavorazioni, che di fatto consentiva l’accesso al cantiere a figure professionali organizzate e autonome, distinte dall’unica ditta impegnata nella specifica lavorazione dell’ascensore, ma in grado di incidere su quest’ultima lavorazione, precludendo l’accesso al quadro generale dei comandi.
5.4 Sotto questo profilo appare logicamente espresso il convincimento del primo giudice, ripreso nella decisione del giudice territoriale di appello laddove ha ravvisato la sussistenza della posizione di garanzia in capo al F.A., sia in ragione della gestione per contratto dei rischi interferenziali, sia per carenze di verifica e di coordinamento del lacunoso POS della ditta esecutrice della installazione dell’ascensore, rispetto al concreto dispiegarsi delle simultanee lavorazioni e del loro interferire con tale specifica attività.
5.5 In chiave processuale, poi, il giudice territoriale ha del tutto coerentemente escluso che la contestazione in sentenza, relativa alla non adeguata gestione da parte del coordinatore per la esecuzione del rischio interferenziale connesso alle modifiche dell’accesso al vano che custodiva i comandi dell’ascensore, contenesse una modifica sostanziale della originaria imputazione, laddove in essa veniva comunque posta in rilievo, in termini di antidoverosità per omessa vigilanza, la veste di garanzia del prevenuto quale tutore del rispetto dei presidi di sicurezza sul luogo di lavoro. Sotto diverso profilo va evidenziato come la difesa del F.A. fosse stata posta in grado di interloquire sullo specifico profilo di colpa suddetto fin dal dibattimento di primo grado, nel corso del quale era stata ampiamente sviluppata la questione dell’accesso al vano tecnico dei comandi e al soggetto cui fosse riferibile una tale interclusione, venendo in rilievo addebiti di inosservanza di obblighi di cooperazione e coordinamento tra imprese operanti nel cantiere, al cui rispetto il F.A. costituiva ineludibile figura di vigilanza e di garanzia.
5.6 Ne consegue pertanto che l’esplorazione della causalità rispetto alle prerogative di monitoraggio e di intervento da parte del F.A. in relazione a lavorazioni interferenti oltre ad essere del tutto compatibile con la contestazione contenuta in imputazione, non rappresenta una argomentazione introdotta dal giudice di appello, ma costituiva tema di confronto fin dal giudizio di primo grado, con tutti i conseguenti limiti di deduzione della questione per la prima volta con ricorso per cassazione (sez.V, 8.1.2009 Parente Rv.243161).
5.7 Sul punto va poi evidenziato come risulti pacifico approdo della giurisprudenza di legittimità che la garanzia del diritto di difesa risulta assicurata in ordine alla eventuale diversa qualificazione giuridica del fatto, che peraltro nel caso in specie si ritiene non ricorra, quando l’imputato abbia avuto modo di interloquire sul tema in una delle fasi del procedimento, qualunque sia la modalità con cui il contraddittorio è stato preservato (sez.II, 12.7.2013 n. 44615, Paladini rv.257750; sez.VI, 1311.2013, Di Guglielmi e altri, Rv 257278).
5.8 Infondato risulta anche il terzo motivo di ricorso del F.A. atteso che, una volta riconosciuta la ricorrenza di un rischio interferenziale in ragione della pluralità delle ditte chiamate ad operare nel cantiere e del tutto vigente e attuale la sua posizione di garanzia quale coordinatore della sicurezza in presenza di lavorazioni interferenti, il giudice di appello ha rappresentato in maniera del tutto logica che la gestione dell’accesso al vano comandi elettrici non costituiva ambito gestionale riservato alla impresa chiamata alla installazione dell’ascensore, ma essenziale tema di confronto e di collegamento tra le ditte interessate, che non sfuggiva agli obblighi di coordinamento sullo stesso gravanti. Il giudice di appello inoltre, con motivazione del tutto adeguata e coerente sotto il profilo logico giuridico, ha rappresentato come la gestione di un siffatto preliminare e rilevante profilo organizzativo da parte dei soggetti responsabili della sicurezza nel cantiere risultasse compatibile con la stessa normativa richiamata dal F.A., che imponeva la preventiva individuazione, in accordo alle professionalità operanti in cantiere, e soprattutto in assenza di qualsiasi previsione del POS del datore di lavoro, di soggetto terzo che detenesse le chiavi di accesso al vano, per garantire interventi di emergenza e di sicurezza, nella più ampia partecipazione e informazione delle ditte interessate.
5.9 Infine infondato risulta anche il quarto motivo di ricorso del F.A. che investe il trattamento sanzionatorio, nella parte in cui chiede il riconoscimento, anche ai fini del recupero della richiesta di patteggiamento avanzata in limine litis, della circostanza attenuante di cui all’art.62 n.4 cod.pen., atteso che ai fini della configurabilità della suddetta circostanza attenuante il risarcimento del danno deve essere volontario, integrale, comprensivo sia del danno patrimoniale che morale ed effettivo (da ultimo sez.VI, 12.11.2015, Minzolini, Rv. 265831). Il giudice di appello ha poi del tutto adeguatamente rappresentato, in termini di gravità della condotta e della rilevanza del ruolo di garanzia rivestito dal prevenuto, le ragioni per cui ha escluso a favore del ricorrente F.A. la ipotesi di minore gravità di cui all’art.114 cod.pen., distinguendo il profilo della responsabilità penale rispetto a quello civile ove ha graduato le percentuali di concorso di colpa, questione sulla quale si tornerà in seguito esaminando il ricorso avanzato dal responsabile civile società Fratelli F.N. s.r.l., anche se trattato anche dal ricorrente F.A..
6. Il primo motivo di ricorso di F.N. risulta infondato per ragioni del tutto analoghe a quelle indicate nel paragrafo 5 per evidenziare la ricorrenza del rischio interferenziale nel cantiere in oggetto, ove la ditta F.N., di cui il ricorrente era legale rappresentante, era l’appaltatrice del complesso delle opere che risultavano in parte sub appaltate ad altre ditte e costituiva pertanto il principale centro di riferimento delle diverse organizzazioni che si succedevano o confluivano nella ristrutturazione del complesso immobiliare e, quale ditta affidatala, doveva assolvere ad una funzione di coordinamento dei vari interventi (art.97 lett.a D.Lgs.vo 81/2008), ed era tenuta alla vigilanza sulla sicurezza dei lavori affidati e sull’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e di coordinamento ed era altresì gravato degli obblighi, anche cooperativisti, nascenti dall’art.26 stesso testo.
6.1 Il giudice di appello poi, anche mediante il richiamo alla motivazione del primo giudice, ha escluso con ragionamento congruo e privo di vizi logico giuridici, alcun rilievo alla delega in materia di sicurezza sul cantiere richiamata dal F.N. a favore di preposto (G.), sia facendo perno sul rilievo che la funzione di garanzia riconosciuta dall’art.97 D.Lgs.vo 81/2008 al soggetto affidatario delle opere era intimamente connessa al titolare di tale posizione e che pertanto non si era in presenza di una attività delegabile al preposto, sia in ragione di una carenza formale della delega stessa.
6.2 La questione sollevata dal terzo motivo di ricorso, che attiene alla esclusione della relazione causale tra la inosservanza degli obblighi a carico del titolare della ditta affidataria delle opere e la morte dell’operaio che operava nella fossa del vano ascensore, oltre a trovare ampio risalto motivazionale nella sentenza impugnata, è stata già affrontata, in relazione agli obblighi facenti capo al coordinatore della sicurezza, ma – per quanto qui rileva – anche al titolare della ditta affidataria delle opere, in ragione dei richiami operati dall’art.97 D.Lgs.vo nelle disposizioni sopra riportate, al paragrafo 5.8 cui si fa espresso riferimento. In tale ambito si è valorizzata la congrua disamina operata dal giudice di appello sul mancato coordinamento e sul difetto di cooperazione nella gestione dell’accesso al vano comandi dell’impianto dell’ascensore, argomento che è certamente riferibile alla posizione del F.N., titolare della impresa affidataria del coacervo delle opere di ristrutturazione che, come sopra rappresentato, oltre ad avere il proprio personale preposto alla gestione del cantiere, costituiva referente e catalizzatore delle diverse istanze provenienti dagli altri imprenditori impegnati nel cantiere, ed essa stessa era onerata della attività di coordinamento degli interventi.
7. Il primo motivo della difesa del B.N., titolare della ditta M. s.r.l. che aveva commesso alla Vertical Service Milano le opere di installazione dell’ascensore, ove si deduce la nullità della citazione a giudizio del prevenuto e la nullità assoluta degli atti del giudizio successivi è infondata, avendo il giudice di appello fornito ampia contezza delle ragioni del rigetto del relativo motivo di gravame, facendo distinzione tra la ipotesi di omessa notifica e di notifica perfezionata ritualmente ma con assegnazione all’imputato di un termine inferiore a quello previsto dalla legge (sez.II, 4.12.2014, Chines, Rv.261630; 15.4.2016, Sbarro, Rv. 268125), specificando comunque che la eventuale invalidità si atteggia a nullità di ordine intermedio suscettibile di sanatoria in ipotesi di omessa tempestiva deduzione, laddove la stessa risulta essere stata eccepita esclusivamente con i motivi di appello.
7.1 Il giudice di appello ha dato adeguata contezza delle ragioni per le quali gli obblighi di garanzia e di coordinamento dei presidi di sicurezza all’interno del cantiere fossero riferibili anche alla impresa del B.N., quale sub appaltatore affidatario delle opere relative all’ascensore la quale, a sua volta, aveva affidato alla Vertical Service gli interventi di installazione. Invero ai fini della operatività degli obblighi di coordinamento e di cooperazione connessi all’esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall’art. 26 D.Lgs.vo 9.4.2008 n.81, occorre avere riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quali il contratto di appalto, di opera o dì somministrazione, ma all’effetto che tale rapporto origina, ovvero alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano nel medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per la incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (sez.IV, 7.6.2016, P.C. in proc. Carfì e altri, Rv. 267687; 17.6.2015, Mancini, Rv. 264957). Invece con riferimento alla posizione del subappaltatore il S.C. ha affermato che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro il sub committente è sollevato dai relativi obblighi solo ove i lavori siano subappaltati per intero, cosicché non possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello stesso nei confronti del subappaltatore (sez.IV, 5.6.2008, Riva e altro, Rv. 240314; sez.IV 20.11.2009, Fumagalli e altri, Rv.246302). Con particolare riferimento alla installazione di un ascensore è stato ritenuto da questa Corte che il rischio derivante dalla generica necessità di evitare che l’ascensore sul quale si stanno eseguendo lavori di manutenzione venga utilizzato con la disattivazione dei sistemi di sicurezza non costituisce rischio specifico dell’attività dell’appaltatore ma rientra anche nell’ambito della posizione di garanzia dell’appaltante, in virtù dell’obbligo di cooperazione previsto dalla legge (sez.IV, 5.3.2009, P.C., Ferrara e altri) in pieno accordo alle argomentazione svolte dai giudici in relazione alla posizione di garanzia assolta dal soggetto che le opere di installazione aveva affidato alla Vertical Service Milano s.r.l..
7.2 La Corte di Appello ha rappresentato con adeguato apparato motivazionale gli spunti in base ai quali ha ritenuto che la ditta B.N. e per essa il suo titolare, non poteva ritenersi estranea alle lavorazioni della Vertical Service in ragione del campo di rischio cui si riferiva la pretesa di una cooperazione tra imprese nel governo di una contingenza che non atteneva allo specifico delle lavorazioni di installazione, bensì alla necessità di consentire al personale dei dipendenti della ditta esecutrice di accedere prontamente ai comandi elettrici dell’apparato, sia in relazione al concreto atteggiarsi dei rapporti tra appaltatore (F.N.), ditta affidataria subappaltante (B.N.), e ditta sub affidataria (Vertical Service Milano s.r.l.), come rappresentati dal teste MA., il quale (preposto del B.N.) ha riconosciuto che le imprese si erano interfacciate per concordare e seguire tutte le modalità di installazione dell’ascensore, riconoscendo pertanto l’attualità e la concreta vigenza degli obblighi di cooperazione e coordinamento tra organizzazioni lavorative previsti dagli art.95 e 97 D.Lgs.vo 81/2008. Sotto questo profilo deva affermarsi la infondatezza anche del quarto motivo di ricorso, che denuncia ipotesi di travisamento della prova in ordine a una circostanza fattuale (se il contratto di subappalto avesse riguardato tutte le opere sull’ascensore o solo una parte) che risulta del tutto irrilevante nella soluzione della questione logico giuridica dell’ambito di responsabilità del B.N..
Questi invero risultava titolare di una posizione di garanzia del tutto autonoma nella sua veste di originario affidatario degli interventi relativamente al campo di rischio sopra indicato (accesso ai comandi dell’ascensore) e al concreto atteggiarsi dei rapporti di collaborazione e di gestione dei rischi di interferenza unitamente alla impresa appaltatrice.
7.3 Infondato è altresì il terzo motivo di ricorso del B.N. in relazione alla ricorrenza di una delega prepositurale, non solo per le ragioni sopra rappresentate in relazione alla posizione del F.N. (par.5.8) ma anche perché nel caso in specie difetta una specifica delega per come prevista dall’art.16 D.Lgs.vo 81/2008. Invero, il giudice di legittimità, pur distinguendo la posizione del preposto di fatto sul luogo di lavoro dalla delega di funzioni, ha ampiamente esplicitato che, pur in presenza di un esercizio di fatto di una posizione di garanzia all’interno del luogo di lavoro, sia essa determinata da un atto di ingerenza piuttosto che da una distribuzione di incarichi non formalizzati, giammai si realizza una ipotesi di esonero di responsabilità del titolare effettivo della posizione di garanzia, ma semmai si costituisce una figura alternativa di garanzia, che potrebbe essere chiamata a rispondere sulla base del principio di effettività richiamato dall’art.299 D Lsvo 81/2008 (sez.IV, 28.2.2014 Consol rv 259224, 18.12.2012 Marigioli rv 226339, 9.2.2012 Pezzo rv 253850).
7.4 Ugualmente infondato è il quinto motivo di ricorso che prospetta ipotesi di esclusione del rapporto di causalità tra le condotte colpose ascritte al B.N. e l’evento dannoso a fronte del comportamento abnorme e pericoloso degli operai della ditta esecutrice delle opere e della impossibilità da parte del B.N. di tenere un comportamento che avrebbe consentito di evitare lo scorrere della serie causale da altri attivata: come rappresentato del tutto logicamente dal giudice di appello e come già ampiamente evidenziato da questa Corte nel paragrafo dedicato ai profili di cooperazione colposa ascritti a ciascun imputato (par.2) e alle successive articolazioni del paragrafo 3), la inosservanza degli obblighi riconosciuti a carico del titolare della ditta M. s.r.l. vanno esaminati nel complesso delle plurime e variegate violazioni di regole cautelari riconosciute agli imputati e alla violazione di regole di collaborazione e di coordinamento tra imprese che avrebbero giustificato l’adozione di accorgimenti sulla tenuta delle chiavi di accesso ai comandi dell’ascensore, condotta omissiva questa di pacifico rilievo causale rispetto all’exitus da soffocamento che occorse all’operaio.
8. Il primo motivo di ricorso del responsabile civile impresa Fili F.N. s.r.l. propone doglianze del tutto analoghe a quelle proposte dall’imputato F.N. nel primo e nel terzo motivo di ricorso, che sono stati esaminati e disattesi ai paragrafi 6 e 6.2 ai quali si fa integrale riferimento e richiamo anche a sostegno del rigetto dell’istanza che si esamina.
8.1 Quanto poi alla violazione di legge in relazione ai criteri adottati dai giudici di merito per la ripartizione delle percentuali di responsabilità va subito evidenziato come il giudice di secondo grado abbia fornito motivata, logica e puntuale motivazione ai criteri in base ai quali determinare nella misura del 25 % la percentuale indicativa del concorso in capo al F.N. nella determinazione del tragico sinistro, sia mediante il richiamo alla sentenza di primo grado sia ponendo in evidenza il rilievo della omissione di verifica delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e dell’applicazione delle disposizioni delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento, unitamente alla omissione nella cooperazione e nel coordinamento tra i vari datori di lavoro delle imprese esecutrici, sono stati importante concausa efficiente dell’infortunio mortale. D’altro canto i giudici di merito hanno efficacemente rappresentato come due fossero stati i filoni causali determinativi dell’infortunio, i quali si erano saldati intersecandosi fra di loro, il primo riconducibile alle gravissime omissioni e carenze del POS della impresa esecutrice e a un non adeguato controllo da parte del CSE F.A., e l’altro al difetto di coordinamento e di cooperazione nella gestione del rischio derivante dalla presenza di altre lavorazioni all’interno del cantiere che avevano condotto alla impossibilità di salvare il povero operaio intrappolato sotto la cabina dell’ascensore. I giudici di merito hanno pertanto adeguatamente motivato il proprio convincimento in punto a ripartizione del grado e della percentuale delle responsabilità tra gli imputati e tale motivazione, che non presenta vizi di manifesta illogicità, non è suscettibile di ulteriore censura, anche in relazione alla posizione del F.A., la cui percentuale di responsabilità risulta limitata alla misura del 10 % anche in ragione del maggiore rilievo riferibile alle violazioni ascritte e riconosciute a carico della parte datoriale.
8.2 Quanto infine al connesso motivo relativo alla ripartizione delle somme provvisionali è principio assolutamente pacifico del giudice di legittimità che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa, non suscettibile di passare in giudicato e non necessariamente motivata (sez.III, 27.1.2015, D.G., Rv.263486; sez.VI, 14.10.2014, P.C. e G. 261535).
9. Fondato risulta invece il ricorso proposto dalla difesa delle parti civili relativamente a violazione di legge e a carenza motivazionale sui criteri seguiti per la compensazione delle spese di lite relativamente alla azione civile innestata nell’ambito del procedimento penale.
A fronte di domanda risarcitoria proposta all’interno di processo penale il pagamento delle spese processuali, disciplinato dall’art.541 cod.proc.pen. trova regolamentazione alla stregua dei criteri indicati dall’art.91 e 92 cod.proc.civ. e pertanto sulla base del principio della soccombenza rispetto alle domande avanzate nella sede giudiziale. Tra le regole proprie che informano il giudizio sulla liquidazione assume rilievo l’art.92 II comma cod.proc.civ. che recita “se vi è soccombenza reciproca …il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”.
Afferma il S.C. che la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorché quest’ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (sez.III, 22.2.2016,n. 3438, Rv. 638888 – 01; 21.10.2009 n.22381, Rv.610563 – 01).
9.1 Orbene la domanda risarcitoria avanzata dalla parte civile risulta integralmente accolta nei confronti di tutti gli imputati e dei responsabili civili, essendo rimessa al giudice civile solo la liquidazione del danno; quanto poi alle statuizioni sulle somme provvisionali assegnate, le stesse come sopra evidenziato, per il loro carattere delibativo, non suscettibili di passare in giudicato, non rappresentano capo della pronuncia sul quale potersi valutare profili di soccombenza reciproca, anche in ragione del fatto che il diritto alla loro percezione non è stato negato o escluso, seppure parzialmente, ma ne è stata soltanto ridimensionata, in sede di giudizio appello, la portata quantitativa.
9.2 Del tutto assente è la motivazione del giudice di appello delle ragioni della sua opzione di pronunciare la integrale compensazione delle spese di lite e pertanto non è neppure possibile accertare in quali termini il giudice di appello si sia discostato dalla regola di giudizio sopra indicata. Si impone pertanto l’annullamento della impugnata sentenza limitatamente alla statuizione concernente la compensazione delle spese tra le parti e rinvia sul punto per nuovo esame alla Corte di Appello di Milano cui va rimessa anche la regolamentazione delle spese del giudizio tra le parti.
10. I ricorsi di tutti gli imputati e del responsabile civile F.lli F.N. s.r.l. devono essere disattesi e gli stessi vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.:
Annulla la impugnata sentenza limitatamente alla statuizione concernente la compensazione delle spese tra le parti e rinvia sul punto per nuovo esame alla Corte di Appello di Milano cui rimette anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio tra le parti.
Rigetta i ricorsi degli imputati e del responsabile civile che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 8.11.2016
FONTE: Cassazione Penale
1. Con sentenza pronunciata in data 19.10.2015 il Tribunale di Novara ha condannato L.P. alla pena di Euro 4.000 di ammenda con il beneficio della sospensione condizionale della pena per averi in qualità di socio accomandatario della società .di ...............s.a.s. e committente dei lavori eseguiti presso il capannone industriale sede della società/omesso di verificare l’idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice. Avverso la suddetta pronuncia l’imputato ha proposto per il tramite del difensore ricorso in Cassazione articolando tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173, 1 comma disp. att. c.p.p.. Con il primo motivo lamenta, invocando il vizio di omessa ed illogica motivazione, di essere stato erroneamente ritenuto parte committente del contratto di appalto essendosi invece soltanto limitato a richiedere un preventivo al titolare dell’impresa D.F. per la sistemazione del tetto del capannone per conto della società che aveva ivi sede senza esserne però la proprietaria ma soltanto la locatrice finanziaria e perciò tenuta a richiedere la relativa autorizzazione ai proprietari dell’immobile: che nessun contratto di appalto fosse intervenuto con il titolare dell’impresa edile era avvalorato dal fatto che egli non era presente al momento del sopralluogo del D.F. che intendeva solo rendersi conto della tipologia della riparazione e del materiale eventualmente necessario, che non vi era prova della pattuizione di un corrispettivo, che non gli era stato inviato alcun preventivo e che pertanto il Tribunale basandosi sul solo materiale fotografico aveva illegittimamente applicato nei suoi confronti l’art. 90, comma 9 del d.lgs. 81/2008 in via anticipata rispetto a quanto previsto dalla stessa norma incriminatrice che postula il perfezionamento dell’accordo e non già dei semplici contatti tra il fruitore delle opere e la ditta non ancora incaricata della loro esecuzione.
2. Con il secondo motivo lamenta che la sentenza impugnata abbia qualificato come prove elementi insussistenti avendo desunto la conclusione del contratto di appalto dalla sola presenza, riferita dal teste escusso ispettore R.M. , all’interno del capannone di attrezzature idonee alla riparazione del tetto, senza che potesse essere demandato ad un testimone alcun giudizio di idoneità, senza che fosse stata, accertata la proprietà del suddetto materiale che ben poteva pertanto essere costituito da strumenti della società presenti sul posto e senza che il rilievo fotografico della suddetta attrezzatura, presente nella parallela inchiesta di infortunio per omicidio colposo dalla quale il ricorrente era stato assolto, fosse stato acquisito come prova del procedimento in esame.
3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge sub specie dell’art.648 c.p.p. e di contestuale omessa motivazione, il contrasto tra la sentenza impugnata e quella pronunciata nel giudizio di omicidio colposo con violazione delle norme sul lavoro, passata in giudicato, che analizzando lo stesso fatto storico aveva escluso che tra la società in accomandita di cui l’imputato era l’accomandatario ed il D.F. fosse intervenuto un contratto di appalto, con conseguente ipotizzabile contrasto fra giudicati.
Diritto:
1. Il primo motivo, da esaminarsi congiuntamente al secondo attesa la loro intrinseca connessione attenendo entrambi alla valutazione del compendio probatorio posto a fondamento della colpevolezza dell’imputato, contiene mere censure in fatto afferenti al preteso vizio motivazionale di cui si assume essere inficiata la sentenza impugnata per aver supposto il perfezionamento del contratto di appalto, che invece il ricorrente assume insussistente, con il D.F. . Il Tribunale di Novara fonda invero la responsabilità del ricorrente sulla culpa in eligendo, costituita nella mancata verifica dell’idoneità tecnico professionale dell’impresa, nel rapporto intrattenuto con il D.F. per la riparazione del tetto del capannone sede della società di cui il primo era accomandatario e perciò rappresentante legale, sostenendo che tale rapporto, quand’anche non fosse approdato alla stipula di un contratto di appalto, si era comunque articolato nel consentire al preteso titolare della ditta edile di effettuare un sopralluogo presso la struttura danneggiata, salendo cioè sul tetto del capannone e verificando in concreto le opere necessarie alla sua riparazione. Le misure generali di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, che implicano a norma dell’art. 15 d.lgs. 81/2008 la valutazione preventiva e l’eliminazione dei rischi in relazione ai lavori da eseguire, pongono a carico del committente, sin dalla fase di progettazione dell’opera e delle conseguenti scelte tecniche, specifiche cautele prescritte dall’art. 90, comma 9 del medesimo decreto, fra cui la verifica nell’ipotesi di cantieri temporanei dell’idoneità tecnico professionale dell’impresa affidataria, la quale implica l’iscrizione di quest’ultima alla Camera di Commercio e l’autocertificazione in ordine al possesso dei requisiti previsti dalla normativa di settore. Da ciò discende che non è affatto necessario il perfezionamento di un contratto di appalto, sia perché trattasi di adempimenti preliminari alla successiva fase della stipula, sia perché la norma in esame non contempla tale figura contrattuale – come si desume dal tenore letterale dello stesso art.90 che parla di “affidamento dei lavori” e che nella lettera c) del comma 9, contemplante a sua volta gli adempimenti di cui alle precedenti lettere a) e b), esclude espressamente la necessità del ricorso all’appalto – ben potendo la commissione esaurirsi in una mera prestazione d’opera, quale è certamente il sopralluogo sul tetto ai fini della verifica dei lavori necessari, alla quale devono comunque presiedere le cautele previste. Con motivazione coerente ed aderente ai principi affermati da questa Corte in materia di responsabilità di reati edilizi (Sez. 3 n.1334 del 26.4.2016, Marangio, Rv. 267744; Sez. 4, n.8589 del 14.1.2008, Speckenhauser, Rv. 238965) il giudice di merito ha pertanto ritenuto la culpa in eligendo dell’imputato non essendo la ditta del D.F. che, secondo la deposizione dell’ispettore, stava effettuando al momento dell’infortunio attività lavorativa sul tetto del capannone industriale, desunta dal materiale e dall’attrezzatura ivi rinvenuta, più attiva dal 2009 ed essendo la attività di artigiano edile del preteso titolare cessata sin dal 2003, senza che alcuna rilevanza assuma la proprietà, in capo all’esecutore materiale ovvero al committente, dell’attrezzatura a tal fine utilizzata. L’insussistenza dei titoli di idoneità prescritti dalla legge in capo alla ditta esecutrice dell’opera, la cui verifica configura adempimento preliminare da parte del committente rispetto a quella da effettuarsi in concreto in relazione alla capacità rispetto alla tipologia dell’attività commissionata, consente di ritenere che la sentenza impugnata, espressasi in conformità alle fondamentali regole di ermeneutica probatoria e con procedimento idoneo a fornire piena contezza dell’iter logico- giuridico dal quale è derivato il convincimento espresso, sia scevra dai vizi lamentati sul piano motivazionale.
2. In relazione al terzo motivo, deve rilevarsene l’inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza non avendo il ricorrente assolto all’onere di allegazione della sentenza di assoluzione dal reato di omicidio colposo pronunciata nei suoi confronti con ciò precludendo alla radice la valutazione della questione, costituita dal contrasto rispetto alla suddetta sentenza che avrebbe a detta del ricorrente escluso la sussistenza di un contratto di appalto con il D.F. , in relazione alla quale si sollecita il sindacato di legittimità. Il requisito della specificità dei motivi a cui è condizionata l’ammissibilità del mezzo di gravame, comporta non solo l’onere di dedurre le censure che l’imputato intende muovere su punti circoscritti della decisione, ma altresì, allorquando sia dedotto il vizio di manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione rispetto ad atti specificamente indicati, quello di curarne l’integrale trascrizione o allegazione al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, anche provvedendo a produrli in copia nel giudizio di cassazione (ex multis Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015 – dep. 26/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053, Sez. 2, n. 26725 dell’01/03/2013 – dep. 19/06/2013, Natale, Rv. 256723). Poiché tale adempimento non è stato curato dal ricorrente, la valutazione in questa sede deve limitarsi a verificare quanto risulta dall’impugnata sentenza: nell’affrontare ex professo la questione dell’assoluzione dell’imputato dall’omicidio colposo, afferma il Tribunale che, contrariamente a quanto assunto in questa sede dal ricorrente, anche la pronuncia di assoluzione resa dal Gip di Novara aveva tratto fondamento dall’accertata mancanza di un regolare affidamento dei lavori di cui era stato incaricato il D.F. , di talché nessun contrasto è profilabile rispetto alla motivazione resa che nell’escludere la titolarità di alcuna impresa in capo a quest’ultimo perviene con motivazione logicamente coerente nonché aderente alle emergenze processuali acquisite al verdetto di colpevolezza in ordine al reato ascrittogli quale committente non già in relazione ad un contratto di appalto, bensì di una prestazione d’opera.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, a norma dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
FONTE: Cassazione Penale
Fatto Diritto:
l. Il sig. MG.M. ricorre per l’annullamento della sentenza del 04/05/2015 del Tribunale di Cosenza che l’ha condannato alla pena di 1.800,00 euro di ammenda per il reato di cui agli artt. 18, comma 1, lett. d), 76, 77, comma 3, 87, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 81 del 2008, a lui ascritto perché, quale amministratore unico della società <<..............................>>, esercente attività edile, non aveva fornito di idoneo casco antinfortunistico ciascuno dei tre operai presenti in cantiere, avendone a disposizione uno solo, peraltro scaduto; fatto contestato come commesso in Rende il 19/07/2012.
1.1. Con unico motivo eccepisce che la mera presenza di persone all’interno del cantiere non prova che stessero svolgendo attività lavorativa, né le mansioni eventualmente disimpegnate. L’utilizzo del casco, infatti, non è obbligatorio e ben può esserne sufficiente uno solo. Nel capo di imputazione, inoltre, manca ogni riferimento al d.lgs. n. 758 del 1994 che il Tribunale ritiene pure violato con conseguente mancata correlazione tra il fatto contestato e quello oggetto di condanna.
2.Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
3. Risulta dal testo della sentenza impugnata che personale ispettivo della Direzione Territoriale del Lavoro di Cosenza, a seguito di sopralluogo presso un cantiere edile della <<.......................>> ove erano in corso lavori di realizzazione di un centro direzionale, accertò la presenza (testualmente) <<di tre operai intenti al lavoro [che] avevano a disposizione un solo copricapo antinfortunistico peraltro scaduto>>.
3.1. La chiara e precisa affermazione circa il luogo dell’accertamento (un cantiere edile), il tipo di lavori in corso (realizzazione di un centro direzionale), la qualifica delle tre persone ad essi intenti (operai), ed il fatto stesso che vi fossero intenti, la successiva fornitura dei caschi da parte dell’imputato, rende inconsistente, in fatto prima ancora che in diritto, il dubbio genericamente sollevato dal ricorrente in ordine all’obbligo della fornitura dello specifico DPI e alla necessità che lo dovessero indossare tutti gli operai.
3.2.Occorre al riguardo evidenziare che secondo quanto prevede l’allegato VIII al d.lgs. n. 81 del 2008 (Indicazioni di carattere generale relative a protezioni particolari), punto 3.1 (ELENCO INDICATIVO E NON ESAURIENTE DELLE ATTIVITÀ E DEI SETTORI DI ATTIVITÀ PER I QUALI PUÒ RENDERSI NECESSARIO METTERE A DISPOSIZIONE ATTREZZATURE DI PROTEZIONE INDIVIDUALE), i lavori edili rientrano tra le attività che generalmente comportano la necessità di proteggere il capo e per le quali, quindi, è necessario l’elmetto protettivo, a prescindere dal fatto che il suo utilizzo sia specificamente contemplato nel documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 28, d.lgs. n. 81 del 2008 o dal concreto accertamento degli eventuali sinistri conseguenti alla sua violazione (in quest’ultimo senso, Sez. 3, n. 25739 del 15/03/2012, Trentini, Rv. 252977).
3.3. Il loro uso è imposto dalla inevitabilità del rischio individuale, non dal fatto che il rischio stesso sia o meno previsto dalle disposizioni aziendali in materia di sicurezza del lavoro (arg. ex art. 75, d.lgs. n. 81 del 2008).
3.4.Il contenuto dell’allegato VIII, cit., costituisce elemento di riferimento ai fini degli adempimenti imposti al datore di lavoro dall’art. 77, d.lgs. n. 81 del 2008, il quale, quindi, diversamente da quanto vuol sottintendere l’imputato, non gode al riguardo di alcun arbitrio (art. 79, d.lgs. n. 81 del 2008).
3.5. La possibilità dell’uso di un medesimo stesso casco da parte di più operai, non è argomento valido sia perché tale uso deve essere espressamente previsto e disciplinato secondo quanto prevede l’art. 77, comma 4, lett. d), d.lgs. n. 81 del 2008 (con conseguente genericità e astrattezza della relative deduzione), sia perché l’unico casco presente in cantiere non era nemmeno idoneo.
3.6. Del tutto stravagante è l’eccezione di violazione dell’art. 521, cod. proc. pen., posto che gli arrt. 20 e 21, d.lgs. n. 758 del 1994 sono correttamente richiamati dal tribunale solo per ribadire che il ricorrente non aveva oblato in via amministrativa la contravvenzione contestata, fatto quest’ultimo del tutto estraneo all’accusa.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00.
P.Q.M.:
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17/01/2017.
FONTE: Cassazione Penale